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Scoperta proteina che rende la leucemia linfatica cronica resistente ai trattamenti

giovedì 6 febbraio 2020

Uno studio internazionale coordinato dal CRO di Aviano apre la strada a nuove valutazioni sui trattamenti contro la più frequente forma leucemica nel mondo occidentale

Le cellule della leucemia linfatica cronica, quando esprimono sulla loro superficie anche piccole quantità di una proteina chiamata CD49d, sono particolarmente resistenti sia ai trattamenti chemioterapici cosiddetti convenzionali sia al farmaco biologico ibrutinib, recentemente approvato per il trattamento della leucemia linfatica cronica. È la scoperta di uno studio internazionale coordinato da Antonella Zucchetto e Valter Gattei al Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, che ha visto coinvolti numerosi ricercatori in Italia, Germania e Regno Unito.

La leucemia linfatica cronica è la più frequente forma leucemica del mondo occidentale, con un’incidenza di circa 5-7 nuovi casi all’anno ogni 100.000 abitanti nel nostro Paese. Le cellule leucemiche si accumulano nei linfonodi, nella milza e nel midollo osseo, sopravvivendo e crescendo grazie all’interazione col cosiddetto microambiente tumorale grazie a proteine espresse sulla membrana delle cellule tumorali stesse.

Lo studio – pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica internazionale Blood – ha dimostrato come più del 50% dei casi di leucemia linfatica cronica esprimono sulla superficie delle cellule tumorali la proteina CD49d, la quale funziona per le cellule leucemiche come molecola di adesione, favorendone l’ancoraggio sia nei linfonodi che nel midollo osseo. Come conseguenza, le cellule leucemiche ancorate nei differenti siti tissutali vengono protette dagli effetti delle terapie. «Ciò determina un fenomeno particolare – sottolinea la dottoressa Antonella Zucchetto – e cioè che, in corso di terapia, le cellule leucemiche che esprimono sulla sua superficie CD49d, anche se poche o pochissime nelle fasi iniziali della malattia, poi aumentano rendendo i farmaci sempre meno efficaci e le cellule sempre più resistenti».

«Da un punto di vista pratico e clinico – aggiunge il dott. Valter Gattei, Direttore dell’Oncoematologia Clinico-Sperimentale del CRO di Aviano – questa osservazione suggerirebbe di introdurre la valutazione dell’espressione dei livelli di CD49d nella caratterizzazione dei pazienti in procinto di iniziare la terapia, anche se al momento non possiamo proporre strategie terapeutiche alternative o integrative per i casi che esprimono la proteina CD49d. In collaborazione con altri centri internazionali, stiamo generando dei modelli di leucemia del topo con o senza CD49d al fine di identificare strategie terapeutiche ad hoc».

Lo studio pubblicato su Blood ha incluso più di 1.700 pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, nell’ambito di uno sforzo multicentrico nazionale che ha coinvolto i maggiori centri ematologici italiani. «In questo contesto – ricorda ancora il dott. Gattei – fa molto piacere notare come sia il coordinatore dello studio, Antonella Zucchetto, che i ricercatori che hanno maggiormente aiutato a tirare le fila dello studio, Erika Tissino e Federico Pozzo, appartengano al gruppo di ricercatori recentemente stabilizzati grazie all’impegno del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, nell’ambito del progetto del Ministero della Salute noto come piramide dei ricercatori». 

La Direzione strategica del CRO sottolinea come tali studi su patologie insidiose e prive ancora di una cura risolutiva debbano essere portati avanti per molti anni per avere successo e dunque richiedano uno sforzo congiunto di finanziamenti, in questo caso sia pubblici (della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e del Ministero della Salute) che privati (AIRC e AIL). Il CRO ha investito molto su questa patologia sia nella ricerca che nella clinica, dedicando ai pazienti un ambulatorio specifico e sviluppando un programma capace di trasferire in modo efficace ed efficiente in clinica ciò che emerge delle osservazioni di ricerca.