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World Cancer Day 2019, la storia di Igor, fotografo moldavo, dalla diagnosi alla guarigione

lunedì 4 febbraio 2019

Nel World Cancer Day che si celebra il 4 febbraio proponiamo con qualche ora di anticipo la storia di Igor Schimbător, appassionato fotografo professionista moldavo, trentanovenne tra qualche giorno. Nella sua vita l’esperienza più difficile al CRO, un anno esatto a partire da maggio 2016. La diagnosi, un trapianto di midollo. La guarigione. Le dimissioni. L’altro giorno gli abbiamo chiesto come stesse, ha risposto “Molto bene”. Igor ha ci ha concesso di poter pubblicare le immagini scattate durante il percorso terapeutico e di riportare alcune delle sue sensazioni ("tradotte come meglio sono riuscito" ci ha scritto).

igor

STANZA 29 - DI IGOR SCHIMBĂTOR

Potrei parlare di quel giorno anche tra una decina di anni. All’esame radiologico l’infermiera mi disse che avevo dei problemi e che dovevo aspettare nel corridoio, il medico mi avrebbe detto tutto. Potrò parlare esattamente di quel giorno anche fra una decina di anni. Arrivò il medico con gli esiti in mano, dicendomi che avevo una formazione nei polmoni.

Mi ricordo diversi momenti di quel giorno; nei pressi della clinica c’era una festa, la musica risuonava e c’erano tanti bambini. Andai verso la macchina, con dentro il cancro di cui avevo sempre avuto una paura fobica, per tutto il tempo, e ora andavo a casa con lui. Entrai in casa, ci guardammo l’un l’altro, ci abbracciammo e piangemmo, in modo consapevole, maturo, spaventato. Mi disse che non mi avrebbe permesso di andarmene.

Non posso morire. È impossibile! Come potrebbe non esistere mai più il “ti amo” di Marina, il nostro giorno con Doina, i salti con lei nel cortile della scuola, come potrei non insegnare a mio figlio le belle cose che si basano su un grande cuore, come potrei non sentirlo per la prima volta chiamarmi “Papà”? Come potrebbe non esistere più la luce del tramonto, il vento delle 6 del mattino in bicicletta? Come potrei non sentire più la tua mano, il profumo dei tuoi capelli, la tua voce? Come potrebbe cessare di esistere la fotografia, la musica, il teatro, i film, la passione? Il caffè delle 11 con i Pink Floyd su vinile? Piansi due volte: una volta sulla spalla di Marina e una volta sulla spalla della mamma. Dissi forte a entrambe «Non voglio morire».

La mamma arrivava dal salone, ben pettinata, fresca, realizzata. La seguivo dalla macchina, mentre veniva da me sorridendo. Dopo qualche secondo mi chiese se tutto andava bene. Ci sono problemi? – Sì.

Silenzio. La mamma sente. La mamma comprese tutto, capì da un solo sì. Il ritorno verso casa fu silenzioso. A casa piansi tra le sue braccia, piansi così come i bambini piangono solo con la loro madre, ero piccolo, impotente, impaurito. Aiutami! Non voglio morire!

Il medico entrò nel salone, era alto, indossava un camice verde, era accompagnato da Marinela, l’infermiera romena che traduceva. Il medico si chiamava dott. Zanet. Fu lui a rispondere alla mia domanda se il mio cancro fosse guaribile. “Sì!” Il dott. Zanet occupa un posto speciale nel mio cuore.

Nel salone 29 ho vissuto più di un anno, ho sentito e ho vissuto diverse emozioni. Nel salone 29 per un periodo ho avuto paura di dormire, di morire mentre dormivo, sentivo questa paura con tutto il corpo, che a momenti avevo la sensazione che mi abbandonasse. Cambiavo subito la posizione per sottrarmi a quest’impressione.

Nel salone 29 veniva la mamma, veniva ogni giorno. La mamma non ha mai mostrato il suo dolore, la mamma stava lì, spesso in silenzio, mi faceva parlare dei miei progetti, del futuro, di come sarebbe stata la mia vita al mio ritorno a casa. Nel salone 29 mi ha visitato Marina, non dimenticherò mai quello che sentii nell’abbracciarla.

Nel salone 29 veniva Giovanni, la persona che mi ha mostrato come si può donare incondizionatamente. Neppure lui parlava tanto, a causa della barriera linguistica, ma tutto si leggeva nei suoi occhi. Era come un padre. Sempre lì ho capito che cosa significhi dire davvero la nostalgia, che la strada verso la guarigione è lunga, ma piena di luce. Nel salone 29 ho capito che il senso della vita è la vita stessa.

La dottoressa Ciancia mi strinse la mano. Mi aspettava la mia lettera di dimissione, il mio biglietto verso casa, il mio biglietto verso una nuova vita.

Quello che vorrei dire è nell’ultima foto della serie. Con Doina non salto più nel cortile della scuola, nel frattempo lei è diventata quasi grande. Ammiro le sue pitture e il suo modo di fare, che è così vicino al mio.

Călin mi chiama papà ed è con lui che corro sotto la tavola della cucina ed io sono il suo eroe. Ballo con Marina nello studio alla luce del tramonto e prendo il caffè con la mamma in città. Ho la fotografia, la luce, il profumo, il calore, il vento delle 6 del mattino, la musica, l’amore e la passione. Ho la vita.