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Un ponte con il Kurdistan

lunedì 11 dicembre 2017

Una zona di conflitto, il Kurdistan iracheno, punita solo qualche settimana fa da un sisma importante, due giovani infermiere ventiquattrenni e un intensive training sui trapianti: sono gli elementi costitutivi, inusuali per il CRO di Aviano, di uno straordinario progetto di formazione che si concluderà il 14 dicembre nel Centro Trapianti di Cellule Staminali Ematopoietiche coordinato da Mariagrazia Michieli.

Una zona di conflitto, il Kurdistan iracheno, punita solo qualche settimana fa da un sisma importante, due giovani infermiere ventiquattrenni e un intensive training sui trapianti: sono gli elementi costitutivi, inusuali per il CRO di Aviano, di uno straordinario progetto di formazione che si concluderà il 14 dicembre nel Centro Trapianti di Cellule Staminali Ematopoietiche coordinato da Mariagrazia Michieli. Al rientro in patria Kizhan Fadhil Mohammed e Lizan Ehsan Tahir, assumeranno ruoli di responsabilità organizzative nel nuovo Centro Trapianti dell’Hiwa Cancer Hospital (HCH) di Sulaymaniyah, Kurdistan, struttura sorta nel 2015 grazie a un progetto italiano realizzato col sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione dello sviluppo (AICS) e l’esperienza di Ignazio Majolino.

«Abbiamo fornito un supporto al progetto – spiega Michieli –  sia per l’opportunità di collaborare con un team tra i più qualificati nell’ambito dei trapianti sia, soprattutto, per la peculiarità di questa sfida, radicata in un teatro di guerra, rivolta a sostegno dei locali e di milioni di rifugiati. Qui l’eccellenza italiana nei trapianti di cellule staminali, nel buon utilizzo delle risorse e nell’innovativa tecnica di progettazione, hanno condotto a un risultato straordinario». In fase di avvio il Centro kurdo ha beneficiato di un contributo di AICS pari a circa 280 mila euro e della partecipazione volontaria di un vasto team di élite italiane selezionate tra le figure professionali indispensabili per la riuscita di un trapianto: biologi, medici, tecnici e infermieri provenienti dai più importanti centri trapianto italiani. Essenziale, nella riuscita dell’operazione, Capacity Building, tecnica utilizzata da Majolino per traghettare a destinazione il progetto di in tempi brevissimi, «un processo col quale – ha detto ancora Michieli – organizzazioni, istituzioni o società sviluppano la capacità di risolvere i problemi e raggiungere gli obiettivi».

All’HCH si sono alternati,  per circa due anni, i team di specialisti volontari italiani coordinati da Majolino che ha eseguito i primi trapianti e, contemporaneamente, svolto seminari, steso protocolli e procedure operative  in collaborazione con medici, tecnici, infermieri e biologi dell’ HCH, coprendo overall le fasi del trapianto:  selezione dei pazienti e raccolta e criopreservazione delle cellule staminali al trapianto stesso col fine di rendere rapidamente  autonomo il personale locale. «Una preziosa opportunità di crescita non solo professionale ma anche culturale e umana – ha aggiunto Michieli. Nelle sei settimane formative abbiamo discusso e ci siamo confrontati sulle tecniche di cura, sull’organizzazione del lavoro, su protocolli e istruzioni operative. Abbiamo avuto la possibilità di rafforzare le nostre capacità didattiche mettendo parallelamente in campo le peculiari doti di capacità di accoglienza ed inclusione che da sempre contraddistinguono l’ecosistema CRO. Un plauso va alle Direzioni, che hanno sostenuto il progetto e messo a disposizione le risorse per accogliere, senza oneri, Kizhan e Lizan al Campus: vedere l’entusiasmo e la partecipazione di medici, tecnici, biologi e soprattutto degli infermieri del team trapianti, che in queste settimane sono stati i veri protagonisti del progetto, partecipare con competenza ed entusiasmo, ha garantito anche a me la certezza che siamo sulla giusta strada di crescita umana e professionale e che il nostro team è pronto per continuare a progettare nuovi  obiettivi ogni giorno più sfidanti sul piano professionale e umano».

«Un immenso grazie al CRO per averci ospitate offrendoci una grandissima opportunità di crescita professionale – hanno detto le due infermiere kurde -, era la nostra prima volta all’estero e questo ha fatto sì che l’esperienza personale risultasse ancor più entusiasmante. Ci ha certamente ispirate per il nostro rientro l’affiatamento tra personale infermieristico e medico, costantemente impegnati in un apprendimento reciproco». La ventiquattrenne si è poi soffermata sulla rigidità delle procedure di isolamento richieste negli standard di trapianto, regole ed idee che hanno in animo di applicare anche in Kurdistan. «Siamo molto grate al CRO per averci dato la possibilità di imparare. Il visto per espatriare dall’Iraq è molto difficile da ottenere, ma ne è valsa davvero la pena».

L’HCH. È tra le più importanti istituzioni oncologiche del Kurdistan iracheno e, nel 2015, ha ricevuto dalla Regione Toscana una unità sterile adatta ad effettuare trapianti utili sia alla cura di leucemie, linfomi o mielomi sia alla risoluzione di malattie ereditarie molto frequenti nel bacino mediterraneo come la beta talassemia. Sulaymaniyah  si trova nel Kurdistan iracheno, regione autonoma dell’Iraq con una popolazione di circa 8.3 milioni di abitanti a questi numeri, a causa del conflitto con l’ISIS questa regione ha visto l’affluenza di almeno un milione di rifugiati che ha rapidamente messo in crisi il suo  sistema sanitario pubblico. Finora il team italiano ha eseguito   più di 50 trapianti con risultati del tutto sovrapponibili ai migliori centri trapianto italiani.