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Chiara, ricercatrice con una passione speciale per numeri

domenica 21 aprile 2019

Verso la 4a Giornata Nazionale della Salute della Donna (22 aprile 2019)

Chiara, vicentina di nascita e pordenonese d’adozione, ha 30 anni. Laureatasi in Scienze Statistiche all’Università di Padova, ha lavorato dapprima al Registro Regionale Veneto dei Casi di Mesotelioma cogliendo dopo un biennio l’opportunità di entrare a far parte del team di Epidemiologia e Biostatistica del CRO. In Istituto Chiara collabora agli studi sulla guarigione dai tumori e sulla sovradiagnosi di quello tiroideo.

Cosa l’ha persuasa a intraprendere questa carriera?

All’epoca dell’università non ero consapevole di questa inclinazione verso il mondo della ricerca; d’altra parte gli studi universitari erano di tutt’altro tipo, rivolti all’economia e al marketing. Combinando la mia curiosità, la passione per la matematica e la statistica – e quella più recente per la medicina – l’avvicinamento a questo percorso professionale è stato quasi naturale.

Perché l’epidemiologia?

E’ la disciplina che mi permette di sfruttare al meglio le mie capacità di analisi e gli studi statistici. La statistica è infatti uno strumento indispensabile per comprendere alcuni fenomeni legati alla frequenza ed alla distribuzione delle malattie nelle popolazioni, nonché alla correlazione tra un evento e i suoi fattori di rischio. L’epidemiologia contribuisce alla promozione della salute su più fronti rispondendo alle domande degli operatori sanitari, dei pazienti e delle istituzioni. Ad esempio, con gli studi che effettuiamo sui pazienti oncologici lungo sopravviventi cerchiamo di rispondere alle domande: Quante persone guariscono dalla malattia? Quanto tempo è necessario perché un paziente possa essere considerato guarito? L’epidemiologia, inoltre, fornisce indicazioni utili per la politica sanitaria, dalla prevenzione alla programmazione.

Un suo pensiero sul CRO

Il CRO è una realtà di riferimento per il territorio, e non solo. Un centro d’eccellenza in cui il Paziente è considerato una persona prima di tutto, e questo, oltre alla professionalità indiscussa di tutto il personale, credo che sia un aspetto chiave in un percorso di malattia.

La ricerca oncologica nel 2019: quali frontiere ed ostacoli?

A causa dell’invecchiamento della popolazione, le diagnosi di tumore sono in aumento, ma i tumori, oggi, si possono in larga parte considerare patologie croniche. Per le donne, la ricerca sul tumore della mammella ha fatto passi da giganti: con lo screening e la diagnosi precoce la guarigione è veramente a portata di mano. Lo stesso dicasi per il tumore della cervice uterina, una malattia sempre più rara che speriamo scompaia con la diffusione del vaccino contro il virus HPV nelle nuove generazioni. In questo scenario positivo un ulteriore tassello importante è rappresentato dai nuovi farmaci oncologici: più efficaci, più mirati e con meno effetti collaterali, ma ancora molto costosi - è il più grande ostacolo da superare. Dal mio punto di vista la vera sfida su cui ancora si può fare molto è la prevenzione: bisogna incentivare la cultura della prevenzione, con una sempre maggiore informazione -soprattutto nei giovani- attraverso l’educazione a corretti stili di vita, e l’adesione agli screening. Inoltre è necessario sfruttare maggiormente, ad esempio, le nuove tecnologie per la diagnosi precoce.

Come stanno i giovani ricercatori italiani?

Per chi come me ha intrapreso questa strada, l’entusiasmo e la passione sono una base fondamentale. A un certo momento, però, ci si ritrova a fare i conti con l’assenza di tutele dovute al precariato, per esempio la mancanza del congedo di maternità o il congedo parentale che ho vissuto in prima persona come mamma, o la difficoltà di ottenere un mutuo, ecc. Sono solo alcuni dei problemi che il precariato si porta dietro e con cui tutti si ritrovano a fare i conti. Spero che grazie agli sforzi fatti negli ultimi anni e alla legge che finalmente regolamenta l'istituzione del ruolo del ricercatore sanitario e delle attività di supporto alla ricerca sanitaria, in futuro anche noi giovani ricercatori Italiani verremo riconosciuti come lavoratori al pari dei ricercatori di altri paesi europei.

Pensa di spostarsi all’estero o di completare la sua carriera in Italia?

Ora come ora direi in Italia: la mia famiglia, mio marito e mio figlio, sono qui e qui abbiamo messo radici, ma mai dire mai. Non escludo nulla a priori, ho 30 anni e la strada lavorativa è ancora lunga, credo che eventualmente le opportunità vadano valutate volta per volta.